Chi è stato adolescente tra la prima metà degli anni ’90 e i primi 2000 e voleva fare il “ribelle” ascoltava nu metal, ma la sovraesposizione a cui è stato sottoposto questo sottogenere ha fatto sì che arrivasse a toccare anche gente insospettabile, che seppur guardandosi bene dall’ammetterlo pubblicamente, non disdegnava Limp Bizkit o Linkin Park.
Tutto è iniziato nel 1994 con l’omonimo album dei Korn. In maniera graduale ma inesorabile, Jonathan Davis e soci si impongono nella scena con un successo duraturo, anche se segnato da alti e bassi, endemici nella storia di una formazione di tale rilevanza. I ritornelli orecchiabili, i ritmi sostenuti ma sostenibili, l’immaginario colorato e divertente, sotto il quale si sottendevano spesso storie marce e di profondo disagio, hanno contribuito a un exploit totale e globale. Solo che tutto questo strombazzamento ha provocato anche una rapida implosione del nu metal, che è stato asfaltato così rapidamente come è arrivato.
Il nu metal è sempre stato un po’ il fratellino scemo all’interno delle correnti heavy. Mescolandosi con funk, rap e hip hop, industrial ed elettronica, viene guardato ancora oggi con sguardi misti di odio/sgomento/schifo dai metallari vecchia scuola, che lo hanno sempre denigrato al grido di “nu metal is not metal”. Per non parlare dell’abbigliamento, degno dei peggiori ghetti americani, e che è riuscito a far sembrare un modellino anche chi, come Fred Durst, non ha mai avuto il physique du rôle.
Ma nonostante questo, i teenager di quasi venti anni fa devono molto al nu metal. Questa playlist, oltre ad essere un agrodolce crogiolarsi nel passato, è anche un omaggio a tutti quelli che ce l’hanno fatta, che sia per un anno, per dieci o per qualcosa in più. A quelli che neanche all’epoca ce l’hanno fatta, invece, penseremo dopo…
I 25 brani più belli del Nu Metal
Blind, Korn (1994) – con i Korn siamo non solo alle origini, ma anche e soprattutto all’apoteosi nu-metallara. Un simile successo ha sfondato le barriere dei gusti e dei generi, arrivando a una massima esposizione su MTV e alla nascita di un numero indefinito di cloni della band capitanata da Jonathan Davis.
Lords of the Boards, Guano Apes (1997) – non solo provincia americana e non solo maschietti. C’è stato un tempo in cui i tedeschi Guano Apes, capitanati dall’incazzosissima Sandra Nasić, sapevano come far sentire la propria voce.
Edgecrusher, Fear Factory (1998) – i paladini del cyber metal si lasciano irretire dalla moda del momento, strizzando l’occhio alla nuova generazione ma allontanando una buona quantità di fan storici, che da questo momento cominceranno a gridare al declino della storica band.
Sugar, System of a Down (1998) – la band di Serj Tankian e soci, attiva con alterne fortune dal 1994, è riuscita a mischiare sapientemente il sound heavy dell’epoca con note mediorientali, in onore delle origini armene della formazione.
Bawitdaba, Kid Rock (1998) – nonostante non sia propriamente un esponente nu metal, il buon Kid Rock ha fatto sfracelli con il suo rap-rock, sdoganando definitivamente l’utilizzo della musica dei ghetti anche in un genere che pare lontano milioni di miglia.
Denial, Sevendust (1999) – lanciato dal chitarrista dei Twisted Sister, Jay Jay French, nel lontano 1994, il gruppo capitanato da Lajon Witherspoon è stato tra i pionieri della nuova (all’epoca) corrente e rimane tra le influenze imprescindibili di molte formazioni nate in anni successivi e attive in scene completamente differenti (vedi TesseracT e Earthside).
Testify, Rage Against the Machine (1999) – il rap e il funk sono alla base dell’identità nu metal, che sfocia spesso nel rapcore da denuncia sociale, come dimostrano gli strapoliticizzati RATM, in attività dal 1991 al 2000 e dal 2007 al 2011.
Wait and Bleed, Slipknot (1999) – quando si parla di nu metal non citare i mascherati dell’Iowa è un po’ come non mettere il cacio sui maccheroni. Immortali e essenziali. Si sono distinti (almeno agli esordi) per l’estrema ferocia e fisicità in sede live. Al confronto oggi sono delle educande, ma noi gli vogliamo bene lo stesso.
Papercut, Linkin Park (2000) – anche se ora fanno biebercore (se non avete dimestichezza con il genere ascoltate il nuovo singolo “Heavy” e vi si aprirà un mondo), i Linkin Park hanno contribuito a lanciare in orbita il nu metal. Se al liceo non ascoltavi Shinoda & friends, eri uno sfigato.
Pardon Me, Incubus (2000) – come i Linkin Park, gli Incubus hanno capito che portarsi in casa un DJ (Chris Kilmore) avrebbe fatto la differenza. Ma anche l’esplorare nuove sonorità (come il pop o la world music) e avere un frontman figo come Brandon Boyd.
Down With The Sickness, Disturbed (2000) – gli ex “Brawl”, nati a Chicago nel 1994, hanno portato alta la bandiera dell’ignoranza caciarona del nu metal. La risata diabolica e i piercing inguardabili di David Draiman erano tutto quello di cui il mondo alternative nel 2000 potesse avere bisogno.
Last Resort, Papa Roach (2000) – pur non avendo mai più ripetuto il successo di questo inno alla rabbia adolescenziale e avendo virato brevemente verso sonorità e un’immagine più dark, Jacoby Shaddix e soci hanno ancora un discreto seguito.
Dig, Mudvayne (2000) – dalla loro i Mudvayne hanno sempre avuto un impatto visivo fortissimo, complice il trucco da manicomio criminale. In pausa dal 2011, metà della band dell’Illinois si è unita a Vinnie Paul nel progetto Hellyeah.
Rollin’, Limp Bizkit (2000) – i Limp Bizkt e il loro leader Fred Durst hanno avuto una parabola ascendente rapida esattamente tanto quella discendente. Oggi non se li fila più nessuno, ma il loro contributo alla scena rimane tra i più significativi.
Change, Deftones (2000) – Chino Moreno e i suoi compagni di avventure son il tipico esempio di chi è riuscito a cavalcare l’onda e a superarla senza annegare. Il sound è mutato nel corso degli anni, ma l’impronta di malinconia dei lavori della seminale band è rimasta invariata dagli esordi, risalenti al 1988.
Fade, Staind (2001) – è capitato che il nu metal convergesse nel post grunge, e viceversa. Al quartetto statunitense le etichette sono sempre state strette, ma “Break the Cycle”, il capolavoro di Aaron Lewis e soci, vanta una buona quantità di pezzi nu metal imprescindibili.
Bodies, Drowning Pool (2001) – la scomparsa improvvisa del vocalist Dave Williams nel 2002 non ha di certo scoraggiato i Drowning Pool, che pur essendo ormai una goccia nell’oceano dell’alternative, hanno pubblicato il sesto album in carriera proprio lo scorso anno.
Blurry, Puddle of Mudd (2001) – uno dei pezzi più strappalacrime del suo genere si riflette nella storia del frontman dei Puddle of Mudd, Wes Scantlin, che tra arresti, droghe ed eccessi, si ritrova oggi ad essere l’ombra di se stesso.
Alive, P.O.D. (2001) – per chi non lo sapesse, anche il nu metal vanta una branca “christian”. I P.O.D. (o Payable On Death, se preferite) ne fanno parte dall’inizio degli anni ‘90, con i loro gioiosi inni alla vita, all’amore e alla fratellanza tra gang.
Send the Pain Below, Chevelle (2002) – i tre fratelli Loeffler (il bassista Joe in realtà lascia la band nel 2005) si attestano sul lato più melodico e impegnato del genere, riuscendo a costruirsi un’identità relativamente forte ancora oggi.
Fiend, Coal Chamber (2002) – i Coal Chamber, tra i massimi esponenti del boom nu metal dei primi 2000, sono stati qualche anno più tardi (per la precisione, nel 2015) anche i maggiori promotori del revival nu metal. Anche se in realtà nessuno ne ha mai sentito tutto questo gran bisogno.
I Stand Alone, Godsmack (2003) – loro sì che erano tamarri e continuano ad esserlo ancora oggi, nonostante sia sicura che nessuno di voi avrà memoria di un brano dei Godsmack dal 2004 in poi. Infatti sono finiti nella colonna sonora de “Il Re Scorpione”, pellicola che avrebbe potuto benissimo vincere un Razzie Award. E se non sbaglio l’ha fatto.
Fantasma, Linea 77 (2003) – non dimentichiamoci dell’Italia. Quando ancora Nitto ed Emi andavano d’accordo, i Linea 77 hanno dato alle stampe “Numb”, disco discretamente fortunato anche oltre confine.
Sun Doesn’t Rise, Mushroomhead (2003) – cattivi sono cattivi, mascherati pure, ma manca quell’ingrediente segreto noto come Corey Taylor. C’è da dire però, che i Mushroomhead all’epoca la loro porca figura l’hanno fatta.
Cold, Crossfade (2004) – l’omonimo album dei Crossfade è l’ultimissimo guizzo di un genere ormai morente, soffocato dal suo stesso successo e travolto dall’arrivo di nuove mode. Pur essendo in pausa di riflessione dal 2011 ed escludendo la parentesi di Mark Castillo negli Emmure, i Nostri giurano di essere ancora in attività.
I 10 peggiori brani del Nu Metal
Un vecchio adagio recita “non giudicare mai un libro dalla copertina”. Bè, molti dei peggiori singoli nu metal hanno delle cover abominevoli. Coincidenza? Chissà. Fatto sta che un genere di straordinario successo come appunto il nu metal ha vissuto momenti non proprio felici, anche e soprattutto nel periodo di massimo splendore. O forse proprio per questo motivo c’è stato un fiorire smisurato di cloni di band di fama internazionale, e le stesse formazioni paladine della scena, ubriache di fama e quant’altro, si sono lanciate in esperimenti non esattamente riusciti. Ma la cosa più pazzesca in assoluto è che i dieci pezzi qui sotto sono talmente brutti che fanno il giro e diventano irresistibili…
Faith, Limp Bizkit (1997) – esiste qualcosa di più improbabile di una cover di George Michael fatta da un gruppo di sballati in baggy pants? Sì, ovvero il fatto che per colpa di questo pezzo mi hanno portato al pronto soccorso con un ginocchio distrutto. Ma ero molto giovane all’epoca.
Loco, Coal Chamber (1997) – premio simpatia per i Coal Chamber, che sono riusciti a conquistare anche Ozzy Osbourne, il conducente del camioncino dei gelati nel terrificante video di “Loco”. Per chi non l’avesse riconosciuto.
You Spin Me Round (Like a Record), Dope (1999) – le cover agghiaccianti sono un ottimo modo per passare dalla parte sbagliata dalla storia. Eppure ancora oggi, a 18 anni di distanza, siamo ancora qui a parlare dei Dope.
Push It, Static-X (1999) – con la loro impronta industrial, gli Static-X guidati dal compianto Wayne Static sono riusciti a costruirsi un seguito più che dignitoso. Dai, erano simpatici, ammettiamolo. Ma presi a piccole dosi.
Butterfly, Crazy Town (1999) – molti sostengono che il video di Butterfly (che tra l’altro contiene un sample di Pretty Little Ditty dei Red Hot Chili Peppers) sia stato solo una scusa per mettere in mostra gli addominali di Shifty Shellshock. Infatti non vedo molte altre spiegazioni all’esistenza di questo pezzo.
Just So You Know, American Head Charge (2001) – ve li ricordate gli American Head Charge vero? Se la risposta è no, non vi preoccupate: non hanno mai fatto nulla di particolarmente importante.
How Can I Live, Ill Niño (2003) – un po’ di sano ritmo latino è quello che ci vuole per distinguersi dalla massa. Sì certo, gli Ill Niño l’hanno fatto, ma in brani come “How Can I Live” l’effetto baby gang vestita da sosia di Jonathan Davis è spaventoso.
Stupid Girl, Cold (2003) – i Cold fanno tutt’ora un onesto post-grunge. Ma il loro avventurarsi in territorio nu metal ha portato a risultati catastrofici. Vedi alla voce “Stupid Girl”.
Tornado, Adema (2005) – il brano che ha scatenato in me la malsana voglia di fare questa playlist. Mi è ricapitato tra le mani a quasi 12 anni dalla prima volta in cui l’ho ascoltato e sono rimasta scioccata dal contenuto del mio iPod dell’epoca.
Booyaka 619 (Rey Mysterio), P.O.D. (2006) – i P.O.D. hanno inciso dei gran pezzi nu metal, ma la canzone dedicata a Rey Misterio è quanto di più brutto e senza senso possa capitare di ascoltare. Però mette allegria, no?
Chiara Borloni