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Trust Company – Dreaming In Black And White

Come far coesistere emo pop + nu metal + alternative senza far uscire una porcheria? La risposta è dentro “The Lonely Position of Neutral“, debutto dei Trust Company datato 2002. Un lavoro che smerciò 500mila copie negli States anche se, diciamocela chiara, all’epoca quei generi erano oltre il top da quelle parti e le major prendevano il maggior numero possibile di gruppi che suonavano quella roba che potesse piacere a chi comprò “Hybrid Theory” qualche tempo pima.
Infatti quel numero di band che hanno spaccato con un solo album in quegli anni è immenso.
Il numero di quelle che sono andate avanti poi, è parimenti immenso a eccezione di un dettaglio: la freccia di quest’ultimo numero punta in questo caso verso il basso con tendenza a più infinito.

In ogni caso Lonely Position è una bomba assai godibile fino a “Figure 8” inclusa; poi si spegne alla distanza per non riaccendersi troppo nemmeno successivo “True Parallels”, che certifica la fine prematura dello stellone dei TrustCo. nonostante 200mila copie vendute e la presenza di buoni pezzi come “Slave” e “Fold”.
Eppure i ragazzi sapevano mettere le melodie giuste nei ritornelli, usare il riff portante nel modo giusto, attaccare l’ampli proprio quando la parte arpeggiata stava per diventare noiosa. La voce di Kevin Palmer oltretutto, potrebbe inizialmente sembrarvi anonima, ma nel tempo riesce a essere abbastanza versatile e convincente (lo era pure dal vivo, fidatevi), capace di caratterizzare i momenti più leggeri e i crescendo tipici dei pezzi dei Nostri.
Semmai quello che è sempre mancato (con poche eccezioni) è stata la pacca in sede di produzione: contrariamente alle performance live, la band sembrava attenta a non voler spaventare troppo gli ascoltatori per affascinare quanti più casual listener possibili.

Questo aspetto sarà inaspettatamente assente nel qui presente “Dreaming in Black and White“, lavoro del 2011 sconosciuto a quei liceali che saltavano sotto il palco nei primi Duemila insieme al gruppo (noi ne parlammo così), cambiato e deciso a virare del tutto verso brani più vari. Intendiamoci, la formula è sempre quella del debutto, ma con una distorsione spessa il triplo e un impatto boombastico che cercava di avvicinare la loro proposta alle tendenze della musica heavy moderna del periodo. L’afflato post-grunge è qui ben marcato così come le accelerazioni e un tot di breakdown prettamente metallosi, oltre a qualche rischio pop-punk.
Opener, “Reverse And Remember”, title track e “Skies Will Burn” (che chorus raga!) sono sicuramente i brani migliori del lotto, ma grandi soddisfazioni possono arrivare anche da “Heart In My Hands”, “Almost There” e “Pulling You Down”. Mentre meglio lasciar perdere i tentativi di ballad che rispondono al nome di “Alone Again” e “Letting Go”.

Questa release (insieme al debutto) sono tra quei dischi ideali per ricordarsi di quando si era (un po’) più giovani e la Musica era ancora una cosa seria, anche se affrontata senza eccessive pretese tecnico compositive.