Insieme ad “Atlantis” (1969) e ai due volumi “The Heliocentric Worlds Of Sun Ra” (1965), questo è l’album che meglio sintetizza le visioni in musica di Sun Ra, primo eroe underground del jazz, pioniere della sperimentazione (usava il pianoforte elettrico già nei primi anni Cinquanta), un po’ filosofo un po’ cialtrone (diceva di essere una sorta di angelo alieno proveniente da Saturno), profeta di un suono unico in grado di fondere inaudite cacofonie free jazz, aperture swing da big band e fraseggi hard bop. Fra i primi propugnatori dell’afrocentrismo, convinto di dover salvare l’umanità dal carcere terrestre con le sue composizioni, in “Space Is The Place“, coadiuvato dalla sua “Astro Intergalactic Infinity Arkestra”, assomma un guazzabuglio di suoni liberati, fra sperimentazione estrema e gusto per il paradosso. Spiccano soprattutto la lunga suite che dà il titolo all’opera, contraddistinta da vocalizzi insistiti, esplosioni atonali di fiati e strambi effetti di organo Farfisa, e “Sea Of Sounds”, burrasca di contorsioni free, mentre “Images” è il suo omaggio alla tradizione (qui infatti Sun Ra lascia da parte l’organo e passa al pianoforte). Per l’artista statunitense, comunque, la creatività personale non andava mai disgiunta dal lavoro d’equipe; per questo era sempre circondato da un nutrito numero di musicisti. Doveva essere interessante suonare con lui, a giudicare da questa dichiarazione: “Lavoriamo in sintonia con l’Universo, con i cromatismi cosmici, e ogni cosa è diversa dalle altre”. Ipse dixit.
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