Pink Floyd – The Dark Side Of The Moon

Ad oggi, la stima delle vendite di “The Dark Side Of The Moon” è arrivata a toccare i cinquanta milioni di unità. Nel 1973 i Pink Floyd erano già un gruppo affermato, delle rockstar, ma nessuno si sarebbe comunque aspettato un successo di tali proporzioni (nella storia commerciale della musica, solo “Thriller” di Michael Jackson lo precede nettamente, mentre “Back In Black” degli Ac/Dc lo affianca ex aequo). Trovare la chiave della sua popolarità è impresa pressoché impossibile. Sicuramente il lavoro negli studi di registrazione è stato perfetto, tanto che il suono dei dieci brani che lo compongono non risulta affatto datato neppure ora, a quarant’anni di distanza. Di certo il quartetto, rispetto alle lunghe suite dei due dischi precedenti, è riuscito a scomporre il proprio procedere solenne e misterioso in numerosi frammenti rispondenti perfettamente ai principi del formato canzone. Indubitabile che l’opera possa vantare molti episodi di più ampia comunicabilità se paragonati al passato: la lap steel guitar di “Breathe”, il rock più ‘diretto’ di “Time”, il canto sensuale senza parole di Clare Torry in “The Great Gig In The Sky” (la sua prova sarà definita ‘orgasmica’ dal chitarrista David Gilmour), il sassofono in “Money” e “Us And Them”, le piacevoli sfumature di grigio che tastiere e sintetizzatori (VCS3 principalmente) donano a quasi tutte le tracce. Eppure, anche se in qualche misura la musica di “The Dark Side Of The Moon” può esser definita orecchiabile e persino rassicurante, permane quella cappa plumbea e quasi irrespirabile che caratterizza tutte le composizioni dei Pink Floyd del dopo Barrett. E a livello concept questo è uno dei dischi più depressi di tutto il Novecento. In questo senso è l’apice del pessimismo ‘cosmico’ di Roger Waters, autore di tutti i testi, i quali parlano di avidità, alienazione, brama di potere, angoscia per il tempo che scorre inesorabile e, soprattutto, pazzia. Non si tratta solo dell’ombra della follia di Syd, tutto il lavoro è un’analisi condotta sull’uomo schizoide del Ventesimo Secolo (per parafrasare i King Crimson). E se qua e là paiono aprirsi spiragli di speranza, gli ultimi versi di “Eclipse” annichiliscono anche questi: “And everything under the sun is in tune/But the sun is eclipsed by the moon“. Forse è questo il segreto dell’album: esser stato in grado veicolare riflessioni, angosce e paure che la maggior parte delle persone tenta di fuggire. Oppure più semplicemente, stando a quanto affermato dal giornalista britannico Chris Charleswort, “Dark Side…” è “un disco perfetto per fare sesso“.

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