Quando oramai si credeva che nu-metal, crossover, alternative e chi più ne ha più ne metta dovessero essere l’unica possibilità per un pubblico che cercava chitarre distorte e ritmi incalzanti, il ritorno degli Iron Maiden fu la classica ancora di salvezza per chi ancora aveva fede nel vecchio e incrollabile heavy metal. Il reunion tour del 1999 che riportò alla base Bruce Dickinson e Adrian Smith fece segnare ovunque il tutto esaurito, lasciando spazio a scene isteriche in boy band style da parte dei vecchi aficionados, verso quella che, insieme ai Metallica, è la formazione di maggior successo di ogni tempo del genere. “Brave New World” riscoprì i Maiden in forma incredibile, epici, diretti, veloci, incisivi e lontani dall’hard degli anni Novanta e dai dischi privi di mordente realizzati con l’incolpevole Blaze Bayley. Ti piace vincere facile? Sì, fu la risposta di Harris e compagni, che piazzarono ritornelli ultra ripetitivi e qualche brano dalla vena progressiva, sbancando facilmente ai botteghini e inaugurando, insieme al sottovalutatissimo “Resurrection” di Rob Halford (storico singer dei Judas Priest), un nuovo periodo d’oro per l’heavy metal tradizionale.
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