La prima delle tante mutazioni dell’alieno Bowie si cristallizza in questo affresco virato sui toni di un sibaritico decadentismo che, grazie ad un tessuto prepotentemente rock, rivitalizza decrepite melodie easy listening e music hall e le intride dello spirito dei tempi che David, d’ora in avanti, saprà sempre cogliere con anticipo su quasi tutti gli altri. Pose androgine e da faraone egizio, ambiguità non solo sessuali ma soprattutto musicali, il musicista britannico mostra per la prima volta tutto il proprio talento in quello che, assieme al coevo “Electric Warrior” dei T. Rex, è il vero atto di nascita del glam. Ai posteri lascia in eredità la melodia languida e melodrammatica di “Life On Mars?”, quella più ironica e punteggiata dal sax di “Changes”, la ballata ‘filosofica’ “Quicksand” e il vizioso rock n’ roll di “Queen Bitch”, ispirato a Lou Reed per la parte vocale e, più di quanto sia mai stato rilevato, agli Who per quanto concerne quella strumentale. Fondamentali in quasi tutti gli episodi i contributi del pianoforte, suonato da Bowie stesso, e del mellotron di Mick Ronson, figura centrale per il periodo glam del futuro Duca Bianco.
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