E’ un concept – album fantasociopolitico, in cui un computer custodito in una banca racchiude un preziosissimo plasma liquido, destinato all’evaporazione, che altro non è se non la coscienza collettiva del Nuovo Mondo futuribile, l’ultimo capolavoro degli Area, forse il più grande della loro intera carriera. Sarà anche la testimonianza più avanzata dell’epoca più creativa per il rock italiano, che nel corso della seconda metà dei Settanta perderà progressivamente peso internazionale e voglia di sperimentare nuove forme di comunicazione. In questo contesto, “Maledetti” è il meraviglioso epitaffio del progressive più intelligente e avanguardistico; ora gli Area sono un “gruppo aperto”, tanto che gli ospiti presenti nelle sette tracce dell’LP sono molti ed eccellenti: si va dai jazzisti Steve Lacy (sassofono soprano) e Paul Lytton (percussioni) ai rockettari Hugh Bullen (basso elettrico) e Walter Calloni (batteria), e ancora i fratelli baschi Auton e José Arze alle percussioni txalaparta, per finire con un quartetto d’archi anomalo (è presente il contrabbasso), che si occupa di spolpare e ridurre ai minimi termini il Terzo Concerto Brandeburghese di Johann Sebastian Bach, eliminando gran parte dell’intelaiatura contrappuntistica (una metafora della perdita della memoria musicale). Per il resto, Demetrio Stratos e compagni ripercorrono tutte le loro tappe in composizioni di fenomenale ingegno: dalla fusion metropolitana corrosa dal rock e dal funk di “Diforisma Urbano” ai consueti aromi etnici di “Gerontocrazia”, dal free jazz pianistico violentato dall’elettronica di “Scum” al jazz rock a tutto tondo di “Giro, giro, tondo”, fino ai nove minuti della shoccante improvvisazione ‘controllata’ di “Caos (parte seconda)”, non c’è un solo aspetto della loro poetica che venga trascurato. Chi volesse farsi un’idea complessiva di che cosa hanno rappresentato gli Area, farebbe bene a procurarsi quest’album prima di tutti gli altri.
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