Al vertice del rock italiano, e oltre. Gli Area di Demetrio Stratos, Paolo Tofani, Patrizio Fariselli, Patrick Djivas, Victor Busnello e Giulio Capiozzo (questa la formazione presente nell’esordio “Arbeit Macht Frei“) stupiscono non solo il mondo del pop italiano, proiettandosi al di là del movimento progressive, ma riescono nell’impresa di sbalordire anche pubblico e critica stranieri. Non da subito; anzi, nei primi tempi l’ascesa dell’International Popular Group (questo il secondo nome che, con molta consapevolezza, il complesso si è dato) è stata frenata da polemiche, fraintendimenti e numerose contestazioni. Oggi, però, gli Area sono ricordati, peraltro giustamente, come la più grande rock band che l’Italia abbia mai avuto. Basta ascoltare i solchi di questo LP, il primo di una serie di capolavori, per essere d’accordo: in soli 36 minuti il sestetto esplode una miscela sonica che riesce a mantenere una ferrea logica interna, nonostante le fonti siano così disparate. C’è la melodia balcanica che nutre un inno di rock ‘barricadero’ come “Luglio, agosto, settembre (nero)”, la musica concreta che si tramuta in free jazz e poi ancora in rock duro nella title – track, la libera improvvisazione di “Consapevolezza”, l’hard bop che si sviluppa in jazz rock contaminato dall’elettronica in “Le labbra del tempo”, la fusion guidata prima dal sassofono e poi dalle tastiere della strumentale “240 chilometri da Smirne”, la sperimentazione vocale della conclusiva “L’abbattimento dello Zeppelin”. Fondamentale l’apporto di tutte le individualità del progetto: dalla voce oltreumana di Stratos ai fiati penetranti di Busnello, dalle tastiere liquide di Fariselli all’abilità di passare dal basso elettrico al contrabbasso acustico di Djivas, dalle percussioni creative di Capiozzo e, infine, all’avanguardistico modo di suonare la chitarra di Tofani, spesso filtrata tramite il sintetizzatore VCS3. Malamente paragonato a quello dei Soft Machine nei Settanta, il prog rock sperimentale degli Area è in realtà infuso da uno spirito ben diverso rispetto a quello surreale ed ironico dell’ensemble inglese. Nella musica e nei testi di “Arbeit Macht Frei” e dei dischi successivi, infatti, si riverbera una tensione metallica e violenta che è frutto sia dell’ambiente urbano dal quale proviene il gruppo, quello milanese, sia delle lacerazioni politiche e sociali che l’Italia e il mondo vivevano in quegli anni. Nervi tesi, impulso alla ribellione, volontà di frantumare la “tetra economia” e la “squallida realtà” che imprigiona l’umanità: questi gli stati d’animo e le motivazioni che spingono all’assalto Stratos e compagni.
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