Trent’anni fa. Ne è passato di tempo. L’esordio dei Bon Jovi fu un fulmine a ciel sereno per tutta la scena hard rock, follemente lanciata verso gli eccessi del glam e pronta a colonizzare con cotonature, mega melodie e produzioni bombastiche anche un genere duro e puro come l’heavy metal. Si parlò di hair metal, anche di pop metal, ma fondamentalmente iniziò un’epoca irripetibile, segnata anche dagli scontri (non certo verbali e limitati al mondo dei social network) tra thrashers e glamsters, con numeri da capogiro per l’industria discografica, che scoprì che si potevano vendere tonnellate di dischi sfruttando anche questo filone.
Fu un anno pazzesco il 1984, uscirono “Born In The USA” del Boss, “Reckless” ovvero il lavoro più bello di Bryan Adams, “The Unforgettable Fire” degli U2, “1984” dei Van Halen, “Love At First Sting” degli Scorpions e “Stay Hungry” dei Twisted Sister, oltre a una vagonata di platter memorabili anche nella new wave, nel pop (“Purple Rain” di Prince giusto per dirne uno) e nel metal che diventava sempre più estremo e veloce.
Ma il debutto dei ragazzi del New Jersey guidati da Jon Bon Jovi stabilì la nascita di una leggenda che ancora oggi non accusa cali di popolarità. Brani incalzanti e irresistibili come “Runaway”, “Roulette”, “Shot Through The Heart”, “Breakout” e “Get Ready” imposero all’attenzione generale una band che suonava durissimo e sapeva essere suadente, hot, trendy e dannatamente sexy allo stesso tempo. A dire il vero serviranno ancora un paio d’anni per sbancare il mercato e imporsi quale nome di punta nella scena, ma le stelle erano allineate. Il resto è storia.
Jacopo Casati